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William Albert Allard - The Photographic Essay

Ogni tanto rivisito alcuni dei libri di fotografia e altre cose sui miei scaffali. Questa volta abbiamo  . . .


Fron cover of Worktown People by the photographer Humphrey Spender


Ogni volta che sento il desiderio di scrivere una recensione di un libro, mi piace scorrere con lo sguardo gli scaffali del mio studio per vedere se un titolo in particolare riesce a catturare la mia attenzione. Oggi, con mia sorpresa, il libro che l’ha fatto è stato questo, The Photographic Essay, dedicato al lavoro di William Albert Allard. La sorpresa deriva forse dal fatto che non prendevo in mano questo volume da molti anni e in tutto questo tempo non avevo quasi più pensato al lavoro di Allard. Ci sono però fotografi che restano dentro di te, e oggi mi rendo conto di quanto lui sia stato un’influenza precoce e importante, soprattutto per quanto riguarda il lavorare a colori e con il colore. Ma su questo tornerò più avanti.


C’è tuttavia una fotografia di Allard che ho guardato praticamente ogni giorno per quasi vent’anni. Mostra due bambini che corrono — o meglio, volano — lungo una strada di campagna in Francia; una splendida immagine scattata nel 1969, che cattura perfettamente lo spirito dell’infanzia in toni morbidi e colori pastello. L’avevo ritagliata da una rivista, incorniciata e appoggiata sul comò della nostra camera da letto. Da allora ha accompagnato la vita dei nostri due figli, cresciuti in un paesaggio simile qui in Italia. Per fortuna, facendo ricerche per questa recensione l’ho ritrovata in vendita sul sito di Allard, così ho ordinato una stampa firmata per sostituire il vecchio ritaglio di rivista. Giorni felici.


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France, 1967


William Albert Allard, o Bill Allard come lo chiamano gli amici, è nato in Minnesota nel 1937. Questo significa che oggi ha più di ottant’anni, e spero stia bene. Ha avuto una vita interessante, fatta di alti e bassi ma soprattutto segnata da determinazione e dedizione al suo lavoro. È conosciuto soprattutto come fotografo del National Geographic, ma ha lavorato anche come freelance per altre riviste, raccontando storie di interesse umano in varie parti del mondo.


Come me, Allard si è avvicinato alla fotografia dopo aver provato altri lavori, ha studiato da studente 'maturo' e ha avvertito presto quell’urgenza di recuperare il tempo perduto. Ho comprato questo libro nel '89, l’anno in cui ho fatto anch’io una scelta 'life-changing', decidendo di studiare fotografia senza avere ancora una chiara idea di come sarei potuto entrare nella professione. È un libro che è in parte retrospettiva, in parte diario di lavoro, e che all’epoca mi offrì spunti preziosi sul mondo della fotografia editoriale: la logistica, il rapporto con redattori ed editori, le difficoltà di avvicinare e fotografare le persone. Più che una semplice raccolta di immagini, il testo che lo accompagna segue la carriera di Allard, la sua tecnica e le sue riflessioni sui vari progetti.


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Come accennavo prima, William Albert Allard ha avuto un’influenza importante sul mio approccio alla fotografia. Lavorava quasi esclusivamente con la pellicola diapositiva Kodachrome: notoriamente spietata se non si otteneva l’esposizione giusta, ma capace di offrire una tavolozza cromatica ricca che Allard sapeva sfruttare fino in fondo. Come ogni elemento nella sua inquadratura, anche il colore aveva sempre uno scopo: era un protagonista, non uno spettatore. Nei suoi workshop Allard sottolineava anche l’importanza della semplicità, e questo è qualcosa che allora ho fatto davvero mio:


“Ciò che escludi è importante quanto ciò che includi. Semplifica. Questo non significa che le tue immagini non possano essere complesse. Ma se miri alla semplicità, è più probabile che tu arrivi a toccare lo spettatore.”

— William Albert Allard, The Photographic Essay


Il suo stile compositivo mi affascinava. Era strutturato ma non statico, a volte collocando il soggetto ai margini dell’inquadratura ma bilanciandolo con altri elementi. Giocava con il buio e le ombre, non aveva paura di sottoesporre o di scattare a mano libera in condizioni di scarsa luce. Aveva un occhio rapido, intuitivo. Questo mi piaceva moltissimo. Ricordo alcuni progetti che realizzai in quegli anni al college… un club di boxe a Londra, un tempio Hare Krishna… in cui affrontavo il soggetto con un approccio molto Allard; fotografando su Kodachrome in luce scarsa, sperimentando con composizione e colore, imparando a conquistare la fiducia delle persone che stavo ritraendo e a raccontare la loro storia. Fu un grande insegnamento.


Allora forse questo libro è saltato fuori stamattina proprio per ricordarmi, trentasei anni dopo, il processo di apprendimento che ho attraversato (e che continuo ad attraversare). Colgo l’occasione per ringraziare Bill Allard come uno dei tanti fotografi che, senza saperlo, mi hanno aiutato e ispirato nel corso degli anni. Buona salute a lui.


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William Albert Allard, The Photographic Essay. Published by Bulfinch Press/LIttle Brown, 1989





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